Da “Giornale di Calabria” | Miglior Salute

ROMA. Due anni per essere operati ad un ernia del disco, 14 mesi per una mammografia, ‘solo’ quattro mesi per un carcinoma alla vescica, venti per ottenere una visita psichiatria. Le liste d’attesa nella sanità pubblica si allungano e, insieme al peso sempre più gravoso dei ticket, allontanano gli italiani dal Servizio Sanitario Nazionale.

Se c’è una novità, insomma, è che le politiche attuate negli ultimi anni per cercare di affrontare il problema non sembrano aver inciso positivamente.

La denuncia viene dal Rapporto Pit Salute 2014 del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva presentato a Roma. Che siano esami diagnostici, visite specialistiche, operazioni o, addirittura, protocolli di cura
per terapie oncologiche, la storia non cambia. Dalla XVII edizione dell’indagine, intitolata quest’anno “(Sanità) in cerca di cura”, emerge che, delle oltre 24.000 segnalazioni volontarie da parte dei cittadini, quasi un quarto riguarda le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie e, tra
queste, il 58% è relativo alle interminabili liste d’attesa. “File lunghe e mal gestite con episodi di inutili ricoveri per esami preintervento o di situazioni cliniche che si aggravano.

Ancor più allarmante, sono i lunghi tempi anche per iniziare o proseguire terapie radio e chemio, come segnala il 7,4% dei cittadini, percentuale ben maggiore del 4,9 del 2012”, commenta Tonino Aceti, Coordinatore del Tribunale per i Diritti del Malato. Andando a vedere i tempi medi di attesa per gli esami diagnostici, si scopre che, per la mammografia, sono passati dai 13 mesi del 2012 ai 14 del 2013, per la colonscopia da 9 a 11, per l’elettrocardiogramma da 6 a 9, per la risonanza magnetica da 8 a 9. E per la Tac sono addirittura raddoppiati, da 6 a 12. Per le visite mediche specialistiche il trend è meno negativo, si attende in media ‘solo’ 9 mesi per una visita oculistica, 5 mesi in meno che l’anno precedente, 7 mesi per una cardiologica, che possono sembrare un’eternità ma ci si consola pensando che nel 2012 se ne attendevano più di 9.

“In alcuni settori i miglioramenti lasciano pensare che, più che diminuire, le liste si siano piuttosto svuotate, nel senso che i pazienti hanno abbandonato il pubblico per passare al privato”, commenta Aceti. Al secondo posto tra le difficoltà rilevate nell’accedere alle cure, ma in netta
crescita (+21%) rispetto al 2012, i cittadini denunciano ‘l’insostenibile peso dei ticket’, dunque una sanità pubblica ‘troppo costosa’. “Nati come sistema per ‘calmierare i consumi’, sono diventati una vera e propria compartecipazione alla spesa sanitaria, pari al 3% del Fondo
Sanitario. Questa politica dissennata sta spostando pazienti e introiti dal pubblico al privato, perché ormai non è più conveniente”, spiega Costantino Troise, segretario dell’Anaao, Associazione che riunisce i medici ospedalieri. L’orientamento del Governo e delle Regioni è quello di modularli in base al reddito, ipotesi che vede contrari l’Anaao come la Cgil. “Chiediamo una graduale abolizione del ticket”, commenta Stefano Cecconi, responsabile politiche della Salute della Cgil. “Visto che una revisione è prevista nell’ambito del Patto per la Salute – aggiunge – proponiamo di cominciare con una ‘exit strategy’: iniziamo a cancellare il superticket di 10 euro su ogni ricetta”. (30 settembre 2014)

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